Nei blog sardi, su Bellas Mariposas di Salvatore Mereu, se ne dice di ogni. Ho visto anche io il film ma non intendo unirmi al coro delle recensioni e tanto meno intendo esprimere il mio giudizio su quelle degli altri. Attraverso questa scelta non intendo nemmeno essere anticonformista e originale. Infatti in maniera molto poco originale vi propongo uno stralcio (che condivido totalmente) di questa recensione:
«Mereu rompe tutte le regole del racconto per inseguire la narrazione anticonvenzionale del libro di Azteni e tradurla in un equivalente filmico. Per fare questo reinventa un linguaggio, spiazza, gioca con le regole, le rimescola e segue le sue protagoniste 12enni con un atteggiamento che non avevamo mai visto. Senza il rigore neorealista, senza la trasfigurazione dei luoghi e dei corpi di Garrone, senza lo smussamento di Virzì e senza nemmeno il grottesco felliniano.»
In altri termini, Mereu può piacere o non piacere, ma anche con questo film ha confermato di avere personalità. Che di questi tempi non è poco.
Due cose tutte mie però ci tengo a dirle: la prima è che ho ripreso in mano il libro di Sergio Atzeni e mi sono reso conto di quanto rispetto abbia usato Mereu nel maneggiare il racconto dell'Autore. Quel rispetto non scontato che di solito è tipico del musicista di talento che si cimenta nel fare una cover di Tenco o di De André.
Dove rispetto non significa affatto fedeltà al testo originale (la più banale e presuntuosa mancanza di rispetto che si possa compiere nei confronti dell'autore e ancor di più nei confronti del pubblico), ma consapevolezza di stare maneggiando qualcosa di valore assoluto. Ecco, questo nel film di Mereu si percepisce e si vede.
La seconda è che mi è parso di cogliere nei commenti al film dei miei concittadini (ma spero di sbagliarmi) la scarsa consapevolezza dell'importanza che ha per Cagliari e la sua crescita girarci dei film. A maggior ragione film come Bellas Mariposas di Mereu. Ne riparliamo tra trent'anni.
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